di Emilio DE CAPITANI
Le Conclusioni del Consiglio Europeo del 6 marzo segnano un inatteso cambio di rotta dell’Unione Europea in materia di politica di difesa comune che, se confermate nella prossima riunione del 20/21 marzo, vedrebbero la nave europea lasciare un porto comunque sicuro – anche se essenzialmente intergovernativo -, per prendere il largo verso una destinazione che, almeno da queste prime mosse, sembra andare chiaramente alla deriva rispetto alla linea maestra fino ad ora sempre seguita dalle istituzioni dell’Unione.
La linea è quella per cui, nell’arco degli ultimi 70 anni, un intero Continente ha vissuto in pace, senza alcun bisogno di procedere ad un riarmo, attraverso l’utilizzo del metodo comunitario e dell’integrazione economica e civile. Un Continente che era stato in precedenza il teatro di due guerre mondiali, scatenate entrambe da ambizioni imperialistiche e, nella seconda, anche da bassezze etiche di una violenza mai raggiunta prima nella storia della civiltà umana.
Ritornando al tema della deriva delle Conclusioni del 6 marzo, è il caso di dire che a far rompere gli ormeggi non sia stata tanto l’aggressione di Putin all’Ucraina (in corso già dal 2014 a seguito dell’invasione della Crimea) quanto la posizione del Presidente Trump che ha fatto intendere agli altri alleati NATO che, in caso di aggressione militare di uno Stato membro, la protezione dell’ombrello americano non è più automatica come neppure la contribuzione finanziaria a questo patto nord-atlantico di difesa da parte degli Stati Uniti.
A fronte di cio’ la Presidente della Commissione, dopo aver molto probabilmente riscosso, in via riservata, il via libera dalle cancellerie di tutti gli Stati membri,ha presentato il 5 marzo un primo piano, impropriamente definito sul “Riarmo” dell’Europa e il cui testo, come c’era da aspettarsi, è stato per il momento approvato all’unanimità da tutti i membri del Consiglio europeo.
L’opinione pubblica europea si è accorta così, da un giorno all’altro, che in seno al Consiglio europeo, cioè l’istanza politica più alta dell’Unione europea che riunisce i Capi di Stato e di governo, c’è una gran voglia di correre alle armi, senza che nessuno di essi abbia tuttavia pensato, un solo secondo, di consultare, preventivamente, non dico i loro parlamenti in seduta pubblica ma almeno il Parlamento Europeo.
Sembra che per questi leaders sia meglio dare queste notizie ai cittadini – che in caso di “Riarmo” non ci mettono solo i soldi ma anche le persone indispensabili per assicurare ogni giorno le aumentate misure di difesa solo a cose fatte perché, tornando a casa da Bruxelles, la spiegazione che ciascuno di loro, può dare alla stampa del suo paese è che tutti gli altri colleghi erano d’accordo.
Tutti per uno quindi (gli Stati membri), e uno per tutti (l’Unione), o quasi.
Perché “impropriamente” denominato “Piano di Riarmo”? Anzitutto, perché la parola “riarmo” è stata bandita dal lessico politico europeo già a far tempo dalla dichiarazione Schuman del 1950.
In secondo luogo, perché il termine “riarmo” – cioè il ritorno all’uso delle armi – non evoca un’intenzione difensiva, e ancor meno di pace, come potrebbe essere, ad esempio: “the new EU Military Defense Plan”.
Se fino ad oggi l’Unione, per il raggiungimento della pace, ha accolto milioni di sfollati Ucraini, messo in campo soldi e misure restrittive contro la Russia, dopo gli annunci del presidente Trump dovrebbe lanciare una iniziativa diplomatica secondo il più autentico “metodo comunitario”, rilanciando il ruolo delle Nazioni Unite, riscoprendo lo spirito degli accordi di Helsinki che nel 1975 contribuirono a superare la contrapposizione tra est e ovest nel Continente europeo e cercare di portare intorno a un tavolo nei prossimi mesi i paesi direttamente e indirettamente coinvolti.
Comunque sia, il piano proposto dalla Presidente VDL, composto di due panieri finanziari distinti, solleva gravi riserve, non solo politiche, ma anche di ordine parlamentare e giuridico.
Il primo paniere è l’allentamento dei vincoli di bilancio sino all’1,5 % per le spese in materia di difesa da parte degli Stati membri. Nel complesso questa iniziativa dovrebbe liberare sino a 650 miliardi di euro di risorse nazionali, da spendere non tanto per lo sviluppo dell’industrie belliche già presenti in taluni Stati membri ma per una nuova strategia europea di difesa. E ciò attraverso un meccanismo d’indebitamento che non era stato concesso neppure per il raggiungimento di obiettivi fondamentali come la protezione sociale o la lotta all’Inquinamento.
In una prospettiva europea la scelta puo’ essere discutibile anche in ragione del fatto che, da marzo 2024, la stessa Commissione ha sottoposto al legislatore europeo la proposta del regolamento legislativo “EDIP” ( v., infra).
In una prospettiva nazionale saranno comunque i parlamenti degli Stati membri a decidere se sostenere o meno le scelte dei propri governi. Ebbene, è evidente che trattandosi di un piano finanziario combinato con il secondo paniere della proposta VDL (quello da 150 miliardi), tutti i parlamenti nazionali ed Europeo aspetteranno il prossimo Consiglio europeo del 21 marzo per sapere se il Consiglio dell’Unione avrà preso, su proposta della Commissione ma senza l’intervento del Parlamento europeo, la decisione di istituire, sulla base dell’art.122 TFUE, questo nuovo strumento finanziario a favore degli Stati membri
L’esigenza della partecipazione e controllo democratico a livello europeo si pone quindi – e in modo manifesto a tutti – per la proposta della Presidente della Commissione Von Der Leyen di istituire “ un nuovo strumento dell’UE ai sensi dell’articolo 122 del TFUE per fornire agli Stati membri prestiti sostenuti dal bilancio dell’UE.”
Nella lettera inviata agli altri componenti del Consiglio Europeo, viene precisato che “ Con un importo massimo di 150 miliardi di euro, questo strumento sosterrebbe fortemente gli sforzi dell’UE per ottenere un rapido e significativo aumento degli investimenti nelle capacità di difesa dell’Europa – ora e nel corso di questo decennio. Tali finanziamenti potrebbero essere utilizzati per i settori di capacità prioritari per i quali è necessaria un’azione a livello europeo, in linea con la NATO:
– difesa aerea e missilistica
– sistemi di artiglieria
– missili e munizioni
– droni e sistemi anti-drone;
– strumenti strategici e protezione delle infrastrutture critiche, anche in relazione allo spazio;
– mobilità militare;
– cyber, intelligenza artificiale e guerra elettronica.
Un ulteriore aumento dell’impatto di questo nuovo strumento si otterrebbe acquistando insieme, il che garantirebbe interoperabilità e prevedibilità, ridurrebbe i costi e creerebbe la scala necessaria per rafforzare la nostra base industriale di difesa europea.”
Il “nuovo strumento” proposto dalla Presidente della Commissione si colloca quindi in una prospettiva molto più ambiziosa rispetto alle iniziative sinora intraprese dalla UE in questo campo. Esso presuppone infatti la definizione, a livello europeo, di “settori di capacità prioritari per i quali è necessaria un’azione a livello europeo, in linea con la NATO”. Viene quindi prevista la consultazione preventiva della NATO (dove siede l’ambasciatore USA) mentre non viene coinvolto lo stesso Parlamento europeo, e cio’ anche se sono in gioco non solo i soldi del contribuente/cittadino europeo, ma anche il contenuto di politiche che toccano i suoi diritti e i suoi interessi vitali.
Ma, a Trattato vigente, chi è legittimato a fare questo tipo di scelte?
La risposta non è semplice perché i Trattati, anche dopo Lisbona, hanno previsto un quadro a dir poco ambiguo quando non lacunoso e contradditorio.
Ciò perché la maggioranza degli Stati Membri contava, almeno fino a poco tempo fa, per la difesa del territorio dell’Unione, sul Trattato NATO, in una sorta di divisione del lavoro con i Trattati UE (v. art.42 TUE).
A seguito delle recenti prese di posizione Oltreatlantico questa divisione del lavoro è ormai in discussione e diverse soluzioni sono allo studio, prima fra tutti quella della costruzione di un “Pilastro europeo” in seno alla Nato. Tuttavia,’impressione è che anche questa sia una soluzione transitoria e che, prima o poi, l’Unione Europea debba, finalmente, assumersi la responsabilità della propria difesa.[1]
Se questa è la prospettiva a medio, lungo termine, l’Unione Europea deve applicare a questo piano di riarmo « europeo » che prefigura una politica di difesa, gli stessi fondamentali principi democratici applicati al resto delle politiche europee. È infatti paradossale che ancora oggi, a livello UE e in campi sensibili ed essenziali per la sicurezza dei cittadini a fronte di minacce esterne, non si applichino principi come quello secondo cui “il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa.” (art.10.1 TUE) o quello secondo cui “Ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione. Le decisioni sono prese nella maniera il più possibile aperta e vicina ai cittadini.” (art.10.3 TUE).
In questo contesto costituzionale, la proposta della Commissione di fondare il finanziamento di 150 miliardi sulla base dell’sull’art.122 TFUE [i], e quindi senza il coinvolgimento diretto del Parlamento europeo, è altamente criticabile, per non dire contraria al diritto dell’Unione.
L’art. 122, già usato in passato per cercare di arginare la crisi greca dell’Euro, la crisi del COVID e la crisi energetica conseguente all’invasione russa dell’Ucraina, è una base giuridica idonea solo per misure d’emergenza, inutilizzabile quindi in situazioni che si possono protrarre per anni.
Basti pensare che in occasione della crisi dell’Euro tale strumento fu poi abbandonato dagli stessi Stati membri che riconobbero che era necessario, in quel caso, adottare un vero e proprio Trattato, quello che diede poi vita al MES.
A più forte ragione, tale articolo va escluso per giustificare una misura del Consiglio volta, non come in passato per difendere la gestione di competenze dell’Unione (l’euro, la salute, i rifornimenti energetici) ma per difendere i cittadini dell’Unione, negli anni a venire, dalle minacce di una guerra. In altri termini, è evidente che il paniere 122 del piano “riarmo” non è una misura temporanea, ma è destinato, come ammette la stessa Presidente VDL nella sua lettera, a valere almeno per il prossimo decennio.
Ora, l’art. 122 non prevede il coinvolgimento del Parlamento europeo che, come per la decisione sul Riarmo del Consiglio europeo, sarebbe informato solo a cose fatte.
Le prerogative del controllo democratico che, in materia militare e di reclutamento di persone cui affidare l’uso delle armi, sono alla base della Costituzione di ogni Stato democratico, devono essere rispettate anche in seno all’UE associando il PE a queste decisioni, politicamente importantissime, e cio’ attraverso l’individuazione di una base giuridica appropriata che lo coinvolga.
Sotto questo profilo, la proposta VDL si presenta, già di per sé, come manifestamente anti-parlamentare, anti-democratica e contraria al Trattato.
Il Parlamento europeo dovrebbe quindi formalmente riservarsi, fin dalle sue prossime risoluzioni in materia di difesa, di impugnare di fronte alla Corte di giustizia ogni tipo di misura o di atto preso senza il suo preventivo ed effettivo coinvolgimento.
Poiché, poi, questa materia coinvolge direttamente anche i Parlamenti nazionali il Parlamento europeo dovrebbe anche chiamarli a raccolta nello spirito e lettera delll’art.12 TUE secondo il quale essi contribuiscono alla costruzione europea (con ciò riaffermando anche il primato della democrazia parlamentare in seno all’UE).
Quanto al merito, é solo il caso di ricordare che, ai sensi degli articoli 3 a 6 TFUE, l’Unione non ha alcuna poteri diretti in materia di riarmo, ed è discutibile ne abbia in materia di sostegno degli Stati membri[2];
In questo quadro e, allo stato attuale del Trattato la sola base giuridica possibile per un simile coinvolgimento dell’Unione e l’associazione del PE alla costruzione di una politica di difesa è quella dell’art. 352.1 TFUE secondo il quale “ Se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate.” (sottolineatura aggiunta):
Solo in via subordinata e,(nella speranza di non essere costretti a difendere questa scelta davanti alla Corte) ci si può anche chiedere se gli obbiettivi indicati nella lettera della Presidente VDL e i relativi finanziamenti sino a 150 Miliardi potrebbero essere ripresi a integrazione delle misure del progetto di Regolamento “EDIP”[ ii] attualmente in discussione presso il PE e il Consiglio [iii ]E’ solo il caso di ricordare che, nonostante tutti i limiti di tale proposta già denunciati dalla Corte dei conti europea [v], EDIP sarebbe seguendo una procedura legislativa ordinaria garantendo cosi’ la corresponsabilità del Parlamento europeo senza richiedere l’unanimità in Consiglio come previsto dall’art. 352 TFUE. I negoziati stanno procedendo speditamente tanto in Consiglio che nel Parlamento europeo [vii] e ciò dovrebbe permettere quanto prima l’avvio dei negoziati interistituzionali (trilogo).
Esistono quindi delle serie alternative al ricorso all’art.122 che il Parlamento europeo potrebbe sollevare a tutela delle proprie prerogative costituzionali a fronte di una iniziativa con la quale Consiglio europeo, Consiglio e Commissione lo escludessero dal processo decisionale. Ricorrendo alla Corte il Parlamento non difenderebbe solo, le proprie prerogative costituzionali, ma anche l’esigenza di rispettare anche in materia di difesa i principi democratici, la Rule of law e, soprattutto, i diritti dei cittadini che lo hanno eletto.
NOTE
[i] Articolo 122 (ex articolo 100 del TCE) 1. Fatta salva ogni altra procedura prevista dai trattati, il Consiglio, su proposta della Commis sione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti, in particolare nel settore dell’energia. 2. Qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un’assistenza finanziaria del l’Unione allo Stato membro interessato. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito alla decisione presa.
[ii] REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO che istituisce il programma per l’industria europea della difesa e un quadro di misure per garantire la disponibilità e l’approvvigionamento tempestivi di prodotti per la difesa (“EDIP”) (2024/0061(COD) Link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52024PC0150
[iii] Le basi giuridiche del progetto di Regolamento EDIP inteso a garantire la disponibilità e l’approvvigionamento tempestivi di prodotti per la difesa sono (1) l’articolo 173 TFUE in relazione alla competitività dell’EDTIB; (2) l’articolo 114 TFUE in relazione al mercato europeo dei materiali di difesa (EDEM); (3) l’articolo 212 TFUE in relazione al rafforzamento della DTIB ucraina e (4) l’articolo 322 TFUE in relazione alle disposizioni finanziarie.
[1] Peraltro, questa assunzione di responsabilità finanziaria da parte dell’Unione non sarebbe una novità visto che è già avvenuta all’indomani della fine dell’ultima guerra quando sei Stati europei crearono la CECA e poi la CEE proprio per andare più veloci dei tempi del piano Marshall e di quelli del Consiglio d’Europa. E ciò senza menzionare il trattato della Comunità europea di difesa, che aveva ottenuto l’accordo anche degli Stati Uniti.
[2] L’art. 42, § 7, TUE, dispone che se uno Stato membro dovesse subire un’aggressione armata nel suo territorio, “gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso”, e non quindi con quelli in possesso dell’Unione, neppure con quelli finanziari che, in questo settore, l’Unione non può infatti avere, nel senso che è escluso che, sulla base delle attuali disposizioni del Trattato, essa possa iscrivere al suo bilancio questo tipo di spese.
Anche a me dà molto fastidio il metodo scelto di soldi a pioggia ai 27 eserciti diversi e, soprattutto, la fretta: Non è che 800 mld in armamenti moderni e ultrasofisticati si spendano in un mese, quando l’ultima frontiera della guerra appare quella cybernetica che ti blocca gli armamenti, le centrali, i punti nevralgici senza neppure una pallottola.
D’altronde, purtrppo era l’unica strada percorribile: resuscitare la CED, uccisa dalla Francia nel secolo scorso? Neppure una cooperazione rafforzata poteva farsi , perché la cooperazione rafforzata in materia di sicurezza e difesa comune, per essere approvata, ha bisogno dell’unanimità, difficile da trovarsi dai 27.
Sinceramente no so cosa avrei fatto al posto di VDL. Probabilmente atteso un po’ prima di far guadagnare Crosetto e i suoi accoliti
https://sergioferraiolo.com