di Emilio DE CAPITANI *
(* Articolo già pubblicato sulla rivista EUROJUS – EDC già segretario della Commissione Libertà civili (LIBE) del Parlamento Europeo 1998-2011)
1. Verso un salto qualitativo sul piano finanziario e normativo della difesa europea
Da settimane si discute di strategie europee per rilanciare la politica di difesa europea. Facendo seguito a ripetute richieste del Consiglio Europeo la Commissione ha, infatti, recentemente presentato, nel quadro della strategia “Rearm Europe” ora trasfusa nel “Libro bianco sulla Difesa Europea Readiness 2030”, una serie di proposte tanto finanziarie che legislative e operative che concorrono nel perseguimento dell’obbiettivo comune di rafforzare una politica industriale europea in materia di armamenti.
Per quanto riguarda la mobilitazione di risorse finanziarie lo strumento principale è stato il riconoscimento agli Stati membri della facoltà di attivare a livello nazionale, sull’arco di quattro anni, la clausola di salvaguardia del patto di stabilità e crescita aumentando sino all’1,5% la spesa pubblica nazionale per la difesa. In teoria tale misura potrebbe permettere di mobilitare sino a 650 miliardi di euro [1].
Altri 150 miliardi di euro potrebbero poi essere raccolti sui mercati finanziari attraverso la proposta di decisione del Consiglio che istituisce lo strumento di azione per la sicurezza dell’Europa mediante il rafforzamento dell’industria europea della difesa (SAFE)[2], ma come indicato nel seguito di questo articolo, lo strumento ha, giustamente, già sollevato forti riserve in seno al Parlamento europeo[3].
Sempre in campo finanziario la Commissione ha inoltre previsto che in occasione del riesame intermedio della Strategia di Coesione 2021-27 gli Stati membri possano riallocare i finanziamenti non utilizzati riorientandoli su altre priorità e, in particolare, quelle collegate alla difesa[4]. A complemento di queste fonti la Commissione ha anche indicato la disponibilità della Banca Europea per gli Investimenti a finanziare anche spese per infrastrutture utilizzabili nel campo della difesa (dalle reti di satelliti agli interventi per la cybersicurezza). [5]
Sul piano normativo già la prima Strategia Industriale (per la) Difesa Europea (EDIS) del Marzo 2024 mirava non solo ad aumentare la spesa per la difesa, ma anche a favorire appalti congiunti di più paesi, garantire la prevedibilità degli investimenti per l’industria della difesa e rafforzare l’interoperabilità tra le forze armate europee, migliorando anche la cooperazione con le industrie della difesa dell’Ucraina.
In una prima fase, l’UE ha quindi adottato, seppure su base temporanea due misure legislative: la prima, il Regolamento ASAP[6], fondata sull’art.173 TFUE (politica industriale) riguardava la produzione di munizioni di artiglieria e di missili (i cd «prodotti per la difesa pertinenti») e la seconda, il Regolamento EDIRPA[7], fondato sull’art.114 (mercato interno) che promuoveva il coordinamento di appalti congiunti per la produzione di armamenti. Queste misure legislative sono state riprese, portate a regime ed estese dal progetto di regolamento che istituisce un Programma Europeo di Investimenti per la Difesa (EDIP) [8] , attualmente all’esame del Parlamento europeo[9].
2. Affrontare la sfida di una governance più democratica della politica di difesa UE
Tutte queste iniziative sono state precedute e accompagnate da diverse prese di posizione del Consiglio europeo [10]da risoluzioni, non vincolanti [11] del Parlamento Europeo[12] e da sempre più numerosi contributi tecnici di alto livello come i Rapporti Draghi e Letta, la relazione Niinsto e da contributi originali della società civile e di centri di ricerca come il Centro Bruegel che ha recentemente proposto l’European Defence Mechanism (MED)[13] .
Elementi comuni a tutti questi documenti sono la valutazione della grave minaccia esterna cui sarebbe esposta l’Unione Europea, la valutazione delle esigenze sul piano militare e la necessità di mobilitare ingenti risorse finanziarie tanto pubbliche che private per coprire tali esigenze. Visto dall’esterno tutto questo attivismo sembra provare che l’Unione Europea “is flexing his muscles”, ma scarsi, se non nulli sono, purtroppo, i riferimenti alle riforme della governance che devono essere adottate per accompagnare la nuova fase della politica di difesa europea. In assenza di coraggiosi e coerenti correttivi politici e istituzionali si aggraverebbe infatti il deficit democratico che caratterizza fin dall’origine la politica di difesa europea.
Senza un credibile quadro di governance democratica sovranazionale sarebbero inevitabili le fughe in avanti e le tendenze centrifughe delle strategie di difesa nazionali che rischierebbero di perseguire obbiettivi politici diversi da paese a paese, di non rispettare gli standards di cui all’art.21 del TUE mettendo, in definitiva, a rischio la stessa coesione interna all’UE. Il caso Ungherese già prova che queste non sono ipotesi di scuola, ma se a seguito di finanziamenti nazionali il fenomeno si allargasse ad altri paesi membri non solo si tradirebbe lo spirito originario dell’Unione come progetto di pace tra i propri membri, ma anche la scelta originale di gestire in comune risorse essenziali come il carbone ed acciaio evitando così il risorgere all’interno dell’UE di spinte nazionaliste.
Una rinazionalizzazione delle politiche di difesa sarebbe tanto più paradossale nel momento in cui anche a livello dell’opinione pubblica sta emergendo una maggiore fiducia nell’Unione Europea come “security provider” e ciò anche grazie al successo ottenuto solo pochi anni fa nel fronteggiare insieme l’epidemia di Covid (e ciò pur in assenza di una competenza esplicita nei Trattati). Una nuova governance sovranazionale in materia di difesa sembra ormai essere attesa anche dalle stesse industrie nazionali degli armamenti, ormai disposte ad abbandonare le “protezioni” dell’art.346.1(b) TFUE che permette ad ogni Stato membro di adottare “…le misure che ritenga necessarie alla tutela degli interessi essenziali della propria sicurezza e che si riferiscano alla produzione o al commercio di armi, munizioni e materiale bellico;..”
Purtroppo, nonostante queste condizioni esterne favorevoli, quella che sembra mancare è, invece, la volontà politica di costruire una “Governance Democratica” sovranazionale che superi l’attuale gestione intergovernativa e garantisca nella nuova fase della politica di difesa europea il rispetto dei valori, dei poteri e delle garanzie che inquadrano le altre politiche “ordinarie” dell’Unione Europea.
3. Inquadrare la sicurezza esterna UE alla stregua del processo seguito per la sicurezza interna
Sarebbe infatti lecito sperare che per la politica di sicurezza esterna si avvii quel processo di “normalizzazione” costituzionale che ha segnato la strategia di sicurezza interna UE a partire dal 2001. Dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre bastarono infatti meno di tre anni per convincere gli Stati membri dell’Unione che la sicurezza interna non poteva più essere trattata solo a livello nazionale e che esisteva anche a livello UE una “duty to protect” dei cittadini in uno spazio sovranazionale che assicurasse sicurezza, libertà e giustizia. Già in occasione dei negoziati sul progetto di trattato Costituzionale venne così deciso di abbandonare il voto all’unanimità in Consiglio, di riconoscere la codecisione al Parlamento europeo e la piena giurisdizione della Corte di Giustizia in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria in campo penale[14].
Il precedente della “comunitarizzazione” della sicurezza interna non sembra, però, almeno per ora, valere per la “sicurezza esterna” dell’Unione e ciò nonostante siano passati ormai più di tre anni dall’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022. Reticenti e evasive sono state, sinora, le risposte alla domanda principale: quali responsabilità sia sul piano interno che su quello internazionale gli Stati Membri intendono finalmente riconoscere all’Unione europea in questa nuova fase della “definizione progressiva di una politica di difesa comune che può condurre a una difesa comune” (art.24.1 TUE)?
E’, infatti, a tutti noto che, allo stato attuale le responsabilità e le competenze dirette dell’Unione in materia di difesa, al di là, dei riferimenti altisonanti nell’art 21 TUE restano piuttosto limitate e, quando prendono forma, coinvolgono gli Stati membri soprattutto su base volontaria. Anche se definita come “politica comune” questa resta, quindi, una politica solo sussidiaria di quella condotta dai suoi Stati membri e resta ingabbiata da “norme e procedure specifiche” (art.24 TUE). Certo il Trattato evoca anche il principio di solidarietà (art.222 TFEU) e persino l’utilizzo di mezzi militari in caso di attacco terroristico, ma, almeno fino a pochi mesi fa, la maggior parte dei paesi UE contava più sui meccanismi di solidarietà previsti dal Trattato NATO che su quelli dell’Unione. La mutata posizione degli Stati Uniti in quella alleanza ha rimesso però in discussione tale certezza e spinge ora gli Stati Membri a rafforzare la propria solidarietà reciproca non solo come “pilastro europeo” in seno al trattato NATO, ma in una prospettiva più continentale che transatlantica. Questo spostamento del centro di gravità, tutt’altro che facile da realizzarsi, richiede però un quadro istituzionale che solo l’ UE può offrire instaurando fra gli Stati Membri quella solidarietà e fiducia reciproca che caratterizza, per esempio le politiche legate al mercato interno.
4. Superare progressivamente il deficit democratico promuovendo il ruolo del Parlamento europeo
Ma perché questo possa avvenire diventa indispensabile rendere compatibili le attuali norme in materia di difesa con i principi democratici proclamati agli artt 9-12 del TUE. Non si tratta, quindi, solo di eliminare il diritto di veto in seno al Consiglio, quanto di correggere l’attuale deficit democratico e promuovere il ruolo del Parlamento europeo[15] anche con formule “creative”, che anticipino le prossime riforme dei Trattati nel rispetto del principio secondo il quale “Il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa” e sulla partecipazione dei cittadini europei (art.10 TUE).
Il riconoscimento del ruolo del Parlamento europeo aprirebbe la possibilità anche di adottare misure legislative in materia di difesa ponendo sullo stesso piano Consiglio e Parlamento le due istituzioni sulle quali si fonda la legittimità della costruzione europea[16].
A spingere per la revisione delle norme attuali in materia di governance della difesa europea è anche il fatto che il regime “eccezionale” previsto nei Trattati per la politica di difesa non solo è poco compatibile con i principi dello Stato di diritto (che l’Unione dovrebbe promuovere) ma si è anche rivelato anacronistico e, di fatto, ingestibile. Basti pensare alla fine ingloriosa della cosiddetta clausola detta del “mutual respect” (articolo 40 TUE) secondo la quale le istituzioni UE, ed in particolare il Consiglio europeo e il Consiglio, non possono ricorrere per la politica di difesa a basi giuridiche di politiche ordinarie e viceversa. Come era da aspettarselo, questo “isolamento” delle politiche di difesa rispetto alle altre è ormai, da tempo, superato nei fatti. E’, infatti quasi impossibile separare la sicurezza interna (alla quale si applica il regime “ordinario”) dalla sicurezza esterna, così come sono indissociabili le politiche commerciali e di sviluppo da quelle legate alla “human security”. Così, progressivamente, viene favorita l’ibridazione di regole e strumenti “interni” ripresi nell’ambito di politiche esterne (non ultimo anche il ruolo di Agenzie “interne” con compiti operativi in paesi terzi) e di politiche “esterne” riprese in strumenti di politica interna (come le stesse norme europee in materia di politica industriale di difesa o le norme in materia materiali double-use “militare/civile” o di esportazione di armi).
Ci si sarebbe potuti attendere che in questo processo di progressiva “ibridazione”[17] si sarebbero estese al regime “straordinario” della difesa, le regole e le garanzie di democraticità del regime ordinario, ma quello che è avvenuto almeno sinora è stato piuttosto l’opposto.
Sotto la pressione degli Stati Membri, nel quadro del Consiglio europeo e del Consiglio e con la partecipazione attiva della Commissione, le esigenze “securitarie” sono diventate prevalenti e le politiche “ordinarie” (mercato interno, fiscalità..) hanno svolto una funzione puramente ancillare. Questo approccio “security by design” è stato recentemente codificato nel libro bianco sulla difesa che prevede che gli aspetti relativi alla sicurezza esterna siano ormai da prendere in conto in tutte le politiche dell’Unione.
5. Prevenire l’emarginazione del Parlamento europeo nelle politiche in cui è co-legislatore
L’attuale approccio intergovernativo rischia così di estendersi alle politiche ordinarie violando così i principi di attribuzione e di equilibrio istituzionale a danno del Co-legislatore, il Parlamento europeo che anche in queste politiche si troverebbe a svolgere un ruolo sempre più residuale, o, al massimo, di autorità di bilancio.
Il caso più evidente di emarginazione del Parlamento Europeo in politiche per le quali il Trattato prevede la sua corresponsabilità come co-legislatore è la proposta di regolamento del Consiglio “SAFE” citata più sopra. Essa prevede di mobilitare ben 150 miliardi di Euro sui mercati finanziari a sostegno degli interventi nazionali in materia di difesa e a tal fine essa si fonda sull’art.122 del TFUE che permette interventi di emergenza in campo economico, ma escludendo l’intervento del Parlamento europeo. È solo il caso di ricordare che già nella scorsa legislatura il Parlamento Europeo, a fronte del moltiplicarsi di misure d’emergenza, con questa base giuridica[18] aveva tentato di limitare il ricorso abusivo a questa base giuridica nonostante il dilagare all’epoca della epidemia di Covid[19].
Come già riconosciuto nel 2020 dallo stesso Servizio Giuridico del Consiglio, il ricorso all’art.122 si giustifica infatti solo in situazioni di emergenza eccezionali e di natura temporanea e dovrebbe avvenire “fatta salva ogni altra procedura prevista dai Trattati”. Ora, gli obiettivi del progetto SAFE sono praticamente gli stessi perseguiti dai Regolamenti ASAP, EDIRPA e dal programma EDIP in fase avanzata di negoziato e che si fondano sulle basi giuridiche 173 (politica industriale), 114 (mercato interno) e 212 TFUE che permettono l’adozione di provvedimenti legislativi in piena corresponsabilità del Parlamento Europeo come richiesto dall’art.289 del Trattato. La scelta dell’art.122 per lo strumento SAFE è ancora più incomprensibile e criticabile in quanto, un atto non formalmente legislativo non può modificare o sospendere misure di natura legislativa (come le norme sull’imposizione IVA) come proposto dalla Commissione.
Non deve quindi sorprendere che il Parlamento europeo con voto unanime della propria commissione giuridica il 23 aprile 2025 abbia contestato il ricorso all’art.122 per violazione delle proprie prerogative costituzionali[20]. Vi è solo da sperare che anche l’altro co-legislatore condivida l’analisi del PE e si possa rapidamente trasferire il contenuto dello strumento nel più generale programma EDIP che il Parlamento europeo sta già rafforzando trasferendo su EDIP venti miliardi dei 150 originariamente previsti per SAFE.
Il voto unanime della Commissione giuridica del PE deve essere salutato positivamente anche come primo segnale di un processo che dovrebbe portare, a termine a una revisione delle disposizioni dei Trattati in materia di politica di difesa. E’ però essenziale che il Parlamento europeo si attivi al più presto (durante il “trilogo” su EDIP ?) per convincere l’altro co-legislatore con il quale condivide il potere legislativo e di bilancio (articoli 14.1 e 16.1 del TUE).
In attesa di una modifica formale del diritto primario, (magari in occasione del negoziato dei primi accordi di adesione di nuovi stati membri all’Unione), le istituzioni potrebbero ridurre l’attuale deficit democratico modificando almeno su base volontaria le proprie relazioni reciproche come avvenne, per esempio con la cd procedura Luns-Westerterp ripresa dalla dichiarazione di Stoccarda del 1984 [21]
Nella stessa prospettiva il Parlamento europeo che si è dotato ormai di una commissione parlamentare per la difesa (SEDE) dovrebbe formalizzare nelle proposte legislative che si appresta a votare come il programma EDIP un proprio ruolo decisionale e di controllo quotidiano come quello che si è assicurato per le politiche relative alla sicurezza interna. Proprio questa esperienza ha dimostrato che rimanere alla finestra sperando che gli altri concedano uno spazio politico è una loser strategy.
Non è un caso che altre istituzioni si stanno già da tempo muovendo per rafforzare il proprio ruolo una volta che la politica di difesa dell’UE evolva in una fase più matura[22]. Persino la Corte ha cercato di interpretare in modo evolutivo il proprio ruolo di controllo in caso di sanzioni adottate nel quadro della politica di difesa. Sarebbe finalmente arrivato il momento che anche il Parlamento europeo[23] rafforzasse il proprio ruolo anche in occasione della adozione di norme europee che, pur non ricadendo nella politica di difesa potrebbero, almeno indirettamente, condizionarla.
6. Ristabilire un dialogo paritario con il Consiglio europeo e con il Consiglio
Last but not least l’unica istituzione eletta direttamente dai cittadini non dovrebbe più limitarsi a scambiare solo messaggi protocollari nei confronti del Consiglio europeo, ma dovrebbe credere maggiormente in sé stessa e interagire con proposte e raccomandazioni formali in occasione della definizione di documenti strategici che richiederanno comunque l’intervento del legislatore per diventare realtà. Rimanere semplicemente spettatore quando il Consiglio europeo adotta l’Agenda Strategica per la legislatura [24] o adotta le linee guida in campo legislativo e operativo per trasformare in questo quinquennio l’Unione europea in Spazio di libertà sicurezza e giustizia [25] toglie, indirettamente, voce anche agli stessi cittadini.
Vent’anni di negoziati interistituzionali in campo legislativo tra Parlamento e Consiglio dovrebbero avere dimostrato che solo una relazione paritaria fra queste due istituzioni garantisce la legittimità e l’efficienza dell’Unione. In questo quadro la Commissione può e deve svolgere un ruolo determinante, ma non dovrebbe porsi come filtro o peggio ancora pretendere di escludere dai giochi, in assenza di una urgenza effettiva, come nel caso del progetto SAFE, l’unica istituzione eletta direttamente dai cittadini.
[1] Alla scadenza del 30 Aprile 12 paesi membri hanno annunciato di voler attivare tale clausola e altri quattro si appresterebbero a farlo. Non rientrano fra questi paesi Italia, Francia, Spagna e Paesi Bassi. Esaminate le domande degli Stati Membri, la Commissione dovrebbe proporre ai primi di Giugno al Consiglio di autorizzare i piani nazionali. Vista l’attuale adesione alla proposta della Commissione non sarà quindi possibile mobilitare buona parte della somma di circa 650 miliardi preventivata in origine.
[2] Secondo la Commissione SAFE “è uno strumento temporaneo di emergenza inteso a fornire assistenza finanziaria dell’Unione agli Stati membri sotto forma di prestiti per consentire loro di realizzare gli urgenti e cospicui investimenti pubblici nella base industriale e tecnologica di difesa europea (EDTIB) richiesti dalla situazione eccezionale. Questo strumento mira a promuovere gli appalti comuni, in modo da permettere agli Stati membri di progredire verso una maggiore efficienza del mercato nel settore della difesa.
Lo strumento fornirà agli Stati membri fino a 150 miliardi di EUR in prestiti per investimenti nel settore della difesa, il che consentirà l’acquisizione di capacità di difesa negli ambiti d’azione prioritari individuati dal Consiglio europeo. Non solo darà visibilità all’industria della difesa dell’Unione, ma consentirà anche un rapido aumento della sua capacità di produzione, migliorerà la tempestiva disponibilità di prodotti per la difesa e accelererà lo sviluppo di nuovi prodotti per la difesa o l’ammodernamento di quelli esistenti. Tali ambiti d’azione prioritari sono la difesa aerea e missilistica, i sistemi di artiglieria, i missili e le munizioni, i droni e i sistemi antidrone, gli abilitanti strategici e la protezione di infrastrutture critiche, anche in relazione allo spazio, le soluzioni per la cibersicurezza, l’intelligenza artificiale e la guerra elettronica, e la mobilità militare.”
[3] Il futuro dell’iniziativa che avrebbe dovuto essere approvata entro Marzo sarà probabilmente deciso nel corso del mese di maggio o al più tardi in parallelo al summit NATO dei primi di giugno.
[4] Anche in questo ambito non è semplice anticipare quale sarà le reazione degli Stati membri e come si collocherà la difesa fra le priorità di sviluppo regionale.
[5] Superando così almeno indirettamente il divieto del finanziamento di acquisti di armi previsto dal proprio Statuto
[6] Vedi il REGOLAMENTO (UE) 2023/1525 del 20 luglio 2023 sul sostegno alla produzione di munizioni (ASAP)
[7] Il regolamento per il rafforzamento dell’industria europea della difesa mediante appalti comuni (EDIRPA) sostiene la collaborazione tra Stati membri nella fase degli appalti per colmare le carenze più urgenti e critiche, specialmente quelle create dalla risposta alla guerra di aggressione russa nei confronti dell’Ucraina, in modo collaborativo. L’EDIRPA rafforza gli appalti comuni nel settore della difesa e, mediante il finanziamento dell’Unione rafforza le capacità industriali nel settore della difesa e l’adattamento dell’industria della difesa dell’Unione alle trasformazioni strutturali del mercato determinate da un aumento della domanda dovuto a nuove sfide, come il ritorno a un conflitto ad alta intensità.
[8] L’EDIP mira a rafforzare la capacità di produzione della base industriale e tecnologica di difesa europea (EDTIB) contribuendo alla ripresa, alla ricostruzione e alla modernizzazione anche della base industriale della difesa ucraina. Il regolamento si basa pertanto su tre basi giuridiche diverse: l’articolo 173 TFUE (politica industriale) l’articolo 114 TFUE (mercato interno) e l’articolo 212 TFUE in relazione al rafforzamento della DTIB ucraina e l’articolo 322 TFUE (cooperazione finanziaria e tecnica con paesi terzi).
[9] Secondo la scheda informativa del PE l’EDIP fornirà un nuovo quadro giuridico (volontario), la struttura per il programma di armamento europeo (SEAP), per facilitare e aumentare la cooperazione degli Stati membri durante l’intero ciclo di vita delle attrezzature di difesa, dallo sviluppo alla manutenzione. La partecipazione richiederà tre o più Stati membri e sarà aperta anche all’Ucraina e ai Paesi associati. Le risorse militari acquistate attraverso il SEAP saranno di proprietà comune degli Stati membri, questi ultimi riceveranno un’esenzione dall’IVA. Un “regime modulare e graduale di sicurezza degli approvvigionamenti dell’UE” dovrebbe garantire un accesso continuo ai prodotti essenziali per la difesa in tutta Europa. Per garantire la coerenza dell’azione dell’UE nel settore della difesa, un Consiglio di preparazione industriale per la difesa riunirà i rappresentanti degli Stati membri, dell’Alto rappresentante dell’UE e della Commissione. Esso dovrebbe programmare gli acquisti tenendo conto dei diversi livelli di investimento a livello nazionale, assicurare l’attuazione della programmazione e “l’identificazione congiunta di possibili progetti di interesse comune per concentrare gli sforzi e i programmi di finanziamento dell’UE”. In queste attività potrà consultare un Gruppo europeo di alto livello per l’industria della difesa, che dovrebbe garantire un’efficiente cooperazione tra governi e industria.
[10] I capi di Stato o di governo dell’UE, riuniti a Versailles il 10 e l’11 marzo 2022, si sono impegnati a “rafforzare le capacità di difesa europee” alla luce dell’aggressione militare russa nei confronti dell’Ucraina. Gli stessi obiettivi sono stati ribaditi nella bussola strategica per la sicurezza e la difesa.
[11] VEDI https://www.europarl.europa.eu/legislative-train/theme-security-and-defence-sede/file-white-paper-on-eu-defence
[12] Vedi https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-10-2025-0034_IT.html
[13] Il Meccanismo Europeo di Difesa (MED) sarebbe una nuova istituzione intergovernativa aperta alle democrazie europee, non solo dell’Unione Europea. Sulla falsariga del MES per la solidarietà a fronte di possibili crisi del sistema bancario, i Paesi aderenti verserebbero il capitale e possiederebbero azioni in proporzione alle loro quote di capitale. Si impegnerebbero a non discriminare gli appaltatori della difesa di altri membri, a intraprendere appalti congiunti in aree prestabilite e a partecipare alla pianificazione, al finanziamento e alla gestione di beni di difesa comuni a beneficio di tutta l’Europa (come la difesa aerea europea o i satelliti di intelligence militare). L’EDM emetterebbe obbligazioni e utilizzerebbe i proventi per finanziare gli acquisti congiunti di difesa e i beni di difesa comuni. Potrebbe anche concedere prestiti ai suoi membri con una piccola maggiorazione rispetto ai costi di finanziamento. I membri pagherebbero le loro quote di beni per la difesa acquistati congiuntamente quando vengono consegnati, pagherebbero il servizio dei loro prestiti e pagherebbero una commissione di servizio per i beni di difesa comuni, in relazione alla loro quota di capitale dell’EDM.
[14] Paradossalmente a spingere per la “comunitarizzazione” di queste politiche poi codificata nel Trattato di Lisbona, furono proprio quei paesi come il Regno Unito e l’Irlanda che, fino ad allora avevano gelosamente difeso la competenza esclusiva degli Stati membri in queste materie.
[15] Come già per la sicurezza interna prima dell’11 settembre il controllo democratico sarebbe di competenza dei Parlamenti nazionali che non sono però strutturalmente in grado di valutare l’impatto sovranazionale delle iniziative prese in questi campi.
[15] Un ulteriore superamento della “eccezionalità” delle attuali norme in materia di difesa sarebbe la soppressione dei limiti alla competenza della Corte e superando l’anacronistica previsione nel trattato che affida al Consiglio e alla Commissione la verifica della coerenza fra la politica della difesa con le altre politiche dell’Unione.
[16] Anche formule creative come quella dell’Alto Rappresentante, con il doppio cappello di Vice-Presidente della Commissione e di Presidente del Consiglio difesa, o la creazione di corpi speciali come il Servizio Diplomatico Esterno composto tanto da funzionari ministeriali che dell’Unione europea sembrano giunti al proprio limite e possono essere all’origine di confusione soprattutto per il mondo esterno (do you remember the Sofagate ?).
[17] Anche formule creative come quella dell’Alto Rappresentante, con il doppio cappello di Vice-Presidente della Commissione e di Presidente del Consiglio difesa, o la creazione di corpi speciali come il Servizio Diplomatico Esterno composto tanto da funzionari ministeriali che dell’Unione europea sembrano giunti al proprio limite e possono essere all’origine di confusione soprattutto per il mondo esterno (do you remember the Sofagate ?).
[18] Dal 2010, si é fatto ricorso all’ Article 122 TFEU per il Regolamento 2016/369 relativo al supporto di emergenza in caso di flussi migratori, in occasione dell’epidemia di Covid (Regolamento 2020/521), per superare i problemi legati alla disoccupazione (Strumento SURE (Regolamento 2020/672) per fondare lo strumento “Next Generation EU”(Regolamento 2020/2094) e per fronteggiare la crisi energetica (Regolamenti 2022/1369, 2022/1854, 2022/2576, 2022/2577, 2022/2578).
[19] S veda la dichiarazione congiunta del 2020 del PE Consiglio e Commissione sul controllo di bilancio delle nuove misure fondate sull’art 122 TFEU che prevede la creazione di un gruppo di lavoro congiunto per l’esame delle implicazioni finanziarie, e l’art.138 del Regolamento interno del PE che stabilisce un dialogo diretto Commissione-Parlamento in caso di ricorso all’art.122
[20] Anche se un velato riferimento alla difesa di tali prerogative è citato nella lettera della Presidente del Parlamento che si dichiara disponibile a a partecipare al gruppo di lavoro sull’impatto finanziario delle misure fondate sull’art.122 TFUE.
[21] Questa riconobbe, ancor prima della revisione dei Trattati, il diritto del Parlamento europeo di essere consultato (seppur su base facoltativa) in occasione dei negoziati su accordi internazionali.
[22] Il caso più evidente è quello della Commissione che si è proposta come security provider già lo scorso anno con le proposte ASAP e EDIRPA e in modo ancora più esplicito con il programma REARM Europe e, in particolare la proposta SAFE.
[23] Va ricordato però che il Parlamento europeo ha tentato fin dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona di far applicare il regime e le garanzie del regime ordinario a iniziative prese anche a livello internazionale come in materia di sanzioni nei confronti di terroristi o in occasione dei negoziati con paesi terzi quali Mauritius, Tanzania, per la consegna di sospetti pirati perseguiti nel quadro dell’operazione Atalanta al largo della costa della Somalia. In tutte queste occasioni nonostante le misure in questione coprissero anche politiche “interne” quali la cooperazione giudiziaria in campo penale la Corte ha ritenuto preminente il collegamento con misure legate alla politica estera e di difesa. Si vedano i paragrafi 81 e 82 della Sentenza nella Causa C-130/10 PE v Consiglio del 19 luglio 2012 ( *1 )
“(81.) Certamente, la partecipazione del Parlamento alla procedura legislativa è il riflesso, sul piano dell’Unione, di un fondamentale principio di democrazia secondo il quale i popoli partecipano all’esercizio del potere per il tramite di un’assemblea rappresentativa (v., in tal senso, sentenze del 29 ottobre 1980, Roquette Frères/Consiglio, 138/79, Racc. pag. 3333, punto 33, e Biossido di titanio, cit., punto 20). (82) Tuttavia, la differenza tra gli articoli 75 TFUE e 215 TFUE quanto all’implicazione del Parlamento risulta dalla scelta, operata dagli autori del Trattato di Lisbona, di conferire un ruolo più limitato al Parlamento riguardo all’azione dell’Unione nel contesto della PESC.”(emphasis added)”
[24] L’Agenda Strategica 2024/2029 è stata adottata dal Consiglio Europeo il 27 giugno 2024. E’stata elaborata senza alcun coinvolgimento del Parlamento europeo né prima né dopo l’adozione.
[25] Le Linee guida sullo SLSG per il periodo 2024-29 sono state elaborate sotto Presidenza Ungherese nel secondo semestre del 2004, votate dal Consiglio Giustizia e affari interni il 3 Dicembre 2024 e allegate alle conclusioni della riunione del Consiglio Europeo






