
di Emilio DE CAPITANI (*)
Era il 10 agosto 1628 e la maggior parte dei cittadini di Stoccolma si era recata al porto per assistere al varo del Vasa, un magnifico Galeone da guerra che il Re Gustavo Adolfo di Svezia aveva fortemente voluto per combattere contro Polonia e Lituania. Lungo una settantina di metri con ben due ordini di cannoni il Vasa era stato progettato come una delle navi da guerra più potenti dell’epoca, ma era anche pericolosamente instabile per il troppo peso nella struttura superiore dello scafo. Ma, come spesso avviene, nessuno se la sentì di avvertire il Re di possibili problemi di stabilità e la nave venne comunque posta in mare accompagnata dal tripudio della folla. Peccato però che dopo poco più di un chilometro cominciò ad inclinarsi a causa di un vento poco più forte di una brezza per poi affondare miseramente.
Fatti i debiti scongiuri, viene spontaneo pensare a questo episodio quando si guarda al susseguirsi di iniziative prese dall’Unione Europea nel corso delle ultime settimane nel quadro del cd “Riarmo Europeo” (comunque lo si voglia chiamare).
Come era da aspettarselo sono state sollevate molte critiche prima fra tutte quella secondo cui una simile strategia tradirebbe lo spirito e la lettera dei Trattati secondo i quali, scopo dell’Unione Europea è “ preservare la pace, prevenire i conflitti e rafforzare la sicurezza internazionale, conformemente agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite, nonché ai principi dell’Atto finale di Helsinki e agli obiettivi della Carta di Parigi, compresi quelli relativi alle frontiere esterne;”(art 21.2 lett.C TUE).
In secondo luogo si è anche denunciato il fatto che, favorendo il riarmo degli Stati Membri venivano confermate politiche e “campioni” nazionali che perseguono priorità differenti, inevitabilmente scoordinate fra loro, e ciò non può essere una solida base per una politica di difesa comune e, ancor meno, in prospettiva, di un esercito sovranazionale.
Sono critiche fondate e delle quali si può discutere a lungo, ma il punto su cui vorrei attirare l’attenzione con queste righe è il fatto che ogni nuova politica deve rispettare il principio democratico e ciò soprattutto a livello europeo non fosse altro perché è il livello di governo più lontano dai cittadini.
Non è infatti un caso che, per colmare questo “deficit” democratico il Trattato abbia previsto che il “funzionamento” dell’Unione si “fonda” sulla democrazia rappresentativa (art.10.1 TUE). Detto ciò è però altrettanto vero che il Trattato non è stato coerente con questo principio proprio per le politiche in materia di sicurezza esterna e di difesa (artt.23-46 TUE) per le quali si applicano “norme e procedure specifiche” che riservano al Parlamento europeo il ruolo di spettatore.
Molte e diverse sono le ragioni che possono avere giustificato, ancora una ventina di anni fa durante i negoziati del Trattato di Lisbona, questa “dislessia” costituzionale che esclude l’unica istituzione eletta dai cittadini proprio da una politica che incide più di ogni altra sulla loro sicurezza.
Va però notato che nel corso degli anni il confine fra politiche di difesa e politiche “ordinarie” (art.40 TUE sul “rispetto reciproco”) è diventato sempre più labile cosicché il Parlamento europeo ha avuto la possibilità di incidere, seppure indirettamente, sulle politiche di difesa attraverso politiche per le quali il Trattato gli riserva appieno il potere legislativo e di bilancio (che si tratti della politica industriale o di quella sul mercato interno).
Ci si poteva quindi aspettare che la Commissione nel proporre la nuova strategia europea per la difesa facendo ricorso, in particolare, a politiche “ordinarie” non si sarebbe solo ritagliata un ruolo nuovo, ma avrebbe almeno rispettato il principio del coinvolgimento del Parlamento europeo.
Niente di tutto ciò: per mettere a disposizione 1500 miliardi di crediti agli Stati membri per acquisti di armi, grazie al progetto di regolamento SAFE, la Commissione ha fatto sì ricorso a politiche “ordinarie”, ma scegliendo una base giuridica di “emergenza”, l’art.122 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che esclude il Parlamento.
Come se non bastasse, gli articoli 17-21 di SAFE prevedono anche modifiche di norme europee adottate in codecisione dal Parlamento europeo con ciò sovvertendo la gerarchia delle norme e aprendo la strada a regimi di emergenza che giustamente il Trattato limita a situazioni eccezionali e per una durata di tempo limitata (come avviene a livello nazionale in situazioni di epidemie, terremoti, catastrofi o minacce di guerra..).
A livello europeo l’art.122 è già stato utilizzato, infatti, in particolare in occasione del Covid (quando grazie ad esso venne creato il sistema SURE a sostegno del mercato del lavoro) e quando, nel 2015 si rese necessario disporre d’urgenza (ai sensi dell’art.78.3 del TFUE) la ricollocazione in diversi paesi UE di un flusso massiccio di decine di migliaia di migranti sbarcati in Italia e in Grecia.
In quest’ultima occasione la Corte aveva anche riconosciuto che in situazioni eccezionali e limitate nel tempo si potesse soprassedere ad alcune norme ordinarie (all’epoca, il regolamento di Dublino). Ma puo’ il programma SAFE essere considerato una misura giustificata dall’urgenza e dalla impossibilità degli stati membri di far fronte a una pressione straordinaria ? C’è da dubitarne perché, se si guarda alle ragioni presentate a giustificazione dell’art.122 TFEU si scopre che alcune di queste rimontano a diversi anni fa mentre l’obbiettivo di superare la parcellizzazione del mercato e degli acquisti di armi è vecchio almeno quanto la creazione del cosiddetto “secondo pilastro” della difesa nel trattato di Maastricht del 1993.
Perché, quindi ricorrere a una base giuridica di emergenza ignorando in modo così plateale il ruolo del Parlamento europeo e mettendo così a repentaglio il cosiddetto “institutional balance” che, a livello europeo assicura un minimo di separazione dei poteri, e il principio di cooperazione leale fra istituzioni?
La risposta, machiavellica, a giustificazione del ricorso all’art.122 potrebbe essere che così si può sfuggire alla regola dell’unanimità, che vige nella politica di difesa impedendo così a paesi contrari (l’Ungheria? La Repubblica Ceca ?…) di boicottare l’iniziativa.
L’argomento però non convince per due ragioni :
- innanzitutto perché la maggioranza qualificata si applica anche alle politiche ordinarie dove il Parlamento europeo agisce da co-legislatore e assicura quindi il controllo democratico (vedi, in materia di supporto alla politica di difesa la proposta EDIP );
- in secondo luogo perché, se davvero vi fossero paesi contrari al progetto di Regolamento SAFE, questi sarebbero inevitabilmente tentati di impugnare il provvedimento del Consiglio di fronte alla Corte. Ora, vista la debolezza delle argomentazioni a sostegno dell’art.122, il Consiglio rischia di vedersi annullato il provvedimento e tutto crollerebbe come un castello di carte…
Insistere con il ricorso all’art.122 TFEU come proposto dalla Commissione non solo é antidemocratico poiché si escluderebbe il Parlamento Europeo dalla partecipazione, anche indiretta, alla strategia europea di difesa, ma é anche porre una seria ipoteca sulla credibilità del progetto in caso di ricorso in Corte.
Al di là delle considerazioni giuridiche questa vicenda suscita quindi anche alcuni inquietanti interrogativi politico-istituzionali:
- a chi giova escludere il neo-eletto Parlamento e perché conta così poco agli occhi della Commissione e del Consiglio europeo tanto da spingerli a metterlo da parte anche in politiche così rilevanti per la vita dei cittadini ?
- perché il Parlamento europeo, che nelle scorse legislature in più occasioni si era rivolto alla Corte di Giustizia, sia per difendere le proprie prerogative costituzionali che a tutela del principio dello Stato di diritto non ha ancora reagito? Se non si fa rispettare come puo’ pretendere che vengano rispettati i cittadini che lo hanno eletto ?
- Last, but not least : il PE è davvero una vittima o vi è ormai una maggioranza politica al suo interno che è in qualche modo complice con quei governi che considerano la partecipazione democratica una noiosa formalità ?
Chiedo per un amico che ha partecipato alle elezioni europee dello scorso anno.
(*)già Segretario della Commissione Libertà civili (LIBE) del PE (1998-2011) . Affiliato alla Scuola Superiore S. Anna di PISA
